UN’ESPERIENZA DA BRIVIDO

Avevo 19 anni quando, la sera del 10 luglio 1998, assieme alla mia famiglia, andai a cena a casa dei miei zii. Attorno alle 22.30, mio zio disse che si sarebbe assentato una mezz’oretta in quanto doveva recarsi in campagna a controllare il sistema di irrigazione. Decisi dunque di fargli compagnia. Così, sedutomi dietro la sua vespa, ci avviammo preso il suo terreno.

Sul posto tutto ok. Mio zio orgoglioso, mi mostrava la sua casetta di campagna e i suoi alberi da frutto, e nel mentre parlava, prendendo una sigaretta, si accorse di aver dimenticato l’accendino.

Nel terreno di fianco vi era una vecchia casetta con la porta aperta da cui fuoriusciva una luce fievole e il rumore della TV e dinanzi alla quale, vi era parcheggiata un’auto. “Ah, c’è anche Lillino stasera, dai vieni, andiamo a chiedere se ha da accendere” disse mio zio.

Giunti dinanzi all’ingresso di questa casetta, cominciò a chiamare il confinante ma, non ricevendo risposta e pensando ad un malore, decidemmo di entrare. Sto vecchietto, che conoscevo solo di vista, era di spalle con le braccia tese e le mani poggiate al camino intento a ringhiare, e nel mentre mio zio stava per chiedergli se fosse tutto a posto, questi, cadendo a terra e contorcendosi, disse una frase che non ho più dimenticato: “Per l’amor di Dio andatevene, prima che sia troppo tardi”.

La sua bocca (non fraintendetemi, non si stava trasformando), sembrava diventare più larga mostrando tutti i denti. Beh, inutile dire che udito e visto troppo, scappammo verso la vecchia vespa che, fortunatamente, a differenza dei film horror, partì al primo colpo.

Nel mentre tornavamo nel centro abitato, cosa strana, notammo diversi cani correre in direzione di quella casetta e, durante il tragitto, spesso mi voltai per vedere se qualcuno ci stesse inseguendo.

Finalmente arrivati, prima di entrare in casa, senza dire una parola, ci sedemmo sul marciapiede quando, improvvisamente, udimmo: “Ehi!”. Era un ragazzo diversamente abile (affetto da ritardo mentale) che abitava lì vicino e che, con le mani poggiate sulla recinzione, ottenuta la nostra attenzione, lanciò un ululato per poi, subito dopo scoppiare a ridere. Mio zio incredulo dopo un: “Ma che cazzo succede stasera?” aprì velocemente la porta di casa.

Tre giorni dopo, notai il vecchietto su di una strada intento a vendere della frutta. Curioso di vedere la sua reazione, decisi di avvicinarmi. Niente. Sembrava come se non mi avesse mai visto. Mia impressione fu che non ricordasse nulla. Così andai a casa di mio zio e questa fu la conversazione. La ricordo come fosse ieri:

– Buongiorno zio. Ma hai rivisto il tuo confinante?

– Sì, stamattina e ci ho anche parlato.

– Beh?

– Abbiamo parlato di tutt’altro, comunque secondo me non ricorda niente.

– Sì anche secondo me, l’ho incontrato poco fa che vendeva la frutta.

– Senti che ne dici di dimenticare tutto?

– Zio dimenticare tutto non è possibile. Facciamo invece che non ne parliamo più?

– Per me va bene. Comunque col cazzo che vado più la sera in campagna.

– Fai bene anche se dovresti evitare più che altro di andarci quando c’è la luna piena.

– Che vuoi dire?

– Niente zio, solo che col cazzo che vengo più in campagna da te.

Più o meno un mese dopo, una mattina, Lillino fu ritrovato privo di vita con gli abiti stracciati, in un campo distante diversi chilometri dal suo. Dicono colpito da infarto.

Da cosa era affetto quell’uomo? Da licantropia? Possibile che quel vecchietto abbia corso per chilometri sino a stramazzare a terra? E perché? Chi o cosa stava inseguendo? Domande destinate certamente a non ottenere risposta ma, di una cosa sono certo, quella sera, scappare, fu la cosa giusta da fare.

Ah dimenticavo! La notte precedente il ritrovamento del corpo, c’era la luna piena.